Donor Advised Fund e trust: un modello italiano di filantropia?
Donor Advised Fund e trust: un modello italiano di filantropia?
di Massimo Piscetta
La recente notizia riportata dalla stampa in merito all’istituzione, da parte di un importante istituto bancario italiano di un “trust filantropico”
avente la qualifica di Onlus, da lo spunto per porsi alcune domande sull’opportunità di tale strumento nel contesto dell’attività bancaria,
quale possibilità di ampliamento della gamma di prodotti e servizi disponibili per talune tipologie di clientela.
Perché una banca dovrebbe istituire un trust onlus?
L’apparente banalità della domanda potrebbe indurre ad una altrettanto semplicistica risposta del tipo: per svolgere un’attività filantropica
inserita nel contesto dell’area marketing e delle azioni pubblicitarie e promozionali tramite le quali incrementare la propria reputazione
sociale. Evidentemente è possibile che queste intenzioni siano le uniche a muovere nella direzione finale della istituzione di un trust
filantropico, in alternativa alla ben più rigida possibilità offerta dalla costituzione di una fondazione. E’ possibile tuttavia, anche
osservando cosa avviene da tempo nel prato del vicino, ipotizzare un modello di scenario di ben più ampio respiro.
Negli Stati uniti, da parecchi anni, anche a seguito di motivazioni collegate alla
minore regolamentazione rispetto ad altre tipologie di veicoli giuridici, si sono
sviluppati i Donor Advised Fund, spesso gestiti tramite Trust (fra questi, ad esempio, il National Philantropic Trust, www.nptrust.org). In
molti casi i patrimoni gestiti da istituti bancari in relazione a programmi di DAF sono molto rilevanti.
Ecco che, forse, può essere pensato un modello italiano di filantropia su vasta scala e con un accentuata efficienza in termini gestionali
tramite una declinazione italiana del DAF gestito per il tramite di trust specificamente ad esso dedicati.
La struttura ipotizzabile potrebbe essere quella di un Trust con un fondo diviso in tanti sottofondi, creati da singoli incrementatori del
fondo iniziale, i quali all’atto dell’adesione al trust e sulle base dell’atto istitutivo dello stesso, determinano l’ambito di operatività per il
singolo sottofondo nonché i beneficiari del medesimo. Si arriva così a definire un trust multi fondo e multi comparto che, di fatto,
attribuisce la possibilità a molti soggetti, aderendo ad una struttura programmatica predefinita, ma flessibile per ciò che concerne taluni
ambiti, di:
dedicare un patrimonio ad uno scopo,
e perseguire finalità prima di self caring e poi filantropiche.
Il trusteee, di questa tipologia di trust, attribuisce la gestione del fondo (composto di “n” sottofondi) ad uno o più gestori specializzati (ed è
qui che si colloca, evidentemente, il ruolo della banca, che può inserirsi anche nella fase di promozione dell’iniziativa).
In merito alla qualifica di onlus da attribuire allo strumento vanno effettuate alcune valutazioni di opportunità, ponderate considerando il
particolare regime vincolistico e di accentuata regolamentazione previsto per enti che assumono tale qualifica unitamente ai vantaggi attribuibili ai soggetti che erogano fondi ai medesimi.